Lettera di Leopold Mozart al figlio Wolfgang Amedeus, datata 13 Agosto 1778:
"Scrivi qualcosa di breve, di facile e di popolare...pensi, forse, che sia cosa indegna di te? Se così è, hai pienamente torto! Quando Bach viveva a Londra (Leopold si riferisce a Johann Christian Bach, l'ultimo dei figli di J.S.Bach, presso il quale Amedeus prese lezioni di contrappunto, quand'era poco piu' che un fanciullo) non scriveva forse... bazzeccole di questo genere?
Anche ciò che è leggero può essere grande, se scritto in uno stile naturale, scorrevole e facile e se, allo stesso tempo, si basa su una solida composizione. Tali lavori sono piu' difficili da comporre di tutte quelle progressioni armoniche che la grande maggioranza del pubblico non comprende o di quei pezzi che hanno piacevoli melodie, ma che sono difficili da eseguire.
Pensi che Bach si sia avvilito con questo genere di lavori? Niente affatto...
Una buona composizione, una solida costruzione: questo è quanto distingue il maestro dal dilettante, anche nelle piccole cose".
La tentazione di prendere come un "assoluto ideologico e indiscutibile" le affermazioni di Leopold, può essere irresistibile per chi non ama troppo le "complicazioni musicali"...tuttavia, visto che Amedeus stesso, non si curò delle parole del padre e andando per la sua "strada" incontrò incomprensioni/derisioni quanto gravi difficoltÃ* esistenziali...trovo che possa offrire a tutti gli utenti del Forum, un ottimo spunto per riflettere sugli aspetti di ricettivitÃ*/comunicativitÃ* della musica, presa nell'insieme delle forme, generi e stili... quanto nelle sue implicazioni professionali, di diffusione ecc.
GiÃ* in diversi topic, riguardanti questo o quel musicista, quel o talaltro stile o genere musicale...abbiamo assistito a "dispute parossistiche" tra avanguardisti e tradizionalisti, tra "melodici" e "rumoristi"...ovvero posizioni di segno opposto, che si annullano perchè entrambe viziate da "pregiudizio ideologico" o di gusto personale, piu' che dal "distacco osservativo"...
Personalmente, pur avendo avuto, da giovane, i miei "eccessi iconoclasti"...ho compreso, nel tempo, che iniziamo ad essere maggiormente obiettivi (o quasi) quando incominciamo a comprendere ciò che di "buono" c'è in ciò che non ci piace e quanto di "criticabile" c'è in ciò con cui maggiormente ci identifichiamo o percepiamo piu' vicino alla ns. sensibilitÃ*...
La comprensione del "discorso musicale", di come lo si percepisce e lo si vive, a vari livelli...subisce variazioni rilevanti appena cambiamo contesto sociale e culturale...ovvero alla base della "godibilitÃ*" e/o dell'accettabilitÃ* di una certa musica, c'è un "condizionamento" che è ad un tempo sia culturale (ciò che una societÃ* ritiene "musicale" in base alla propria evoluzione e visione del mondo) che di frequentazione, piu' o meno assidua rispetto a certi "ascolti"... L'educazione musicale, in qualunque parte del mondo, è l'"adattamento percettivo" del singolo verso quei "suoni" che, prodotti in una certa maniera e con certi strumenti, sono unanimamente "accettati" socialmente e "organizzati" in un linguaggio chiamato "musica"...
Esiste, quindi, inizialmente un "gap culturale" che differenzia le "visioni musicali" delle varie popolazioni, presenti sul ns. Pianeta e quindi la loro reale "comprensione"...la cultura europea (ma non solo) ha creato, nei secoli, l'orribile divisione fra musica "alta" (delle classi sociali ricche e potenti) e "bassa" (popolare)...una sorta di "apartheid" della comunicazione/fruizione musicale basata sulla distinzione sociale...
Per fortuna, oggi, grazie alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e agli spostamenti delle popolazioni e una maggior comprensione degli usi, costumi e abitudini diverse esistenti...siamo in una condizione di "fluiditÃ* culturale" o quindi di "relativitÃ*" di tutti gli "assiomi" e gli "estremismi" caratteristici di ogni societÃ* umana...
Ma la differenza fra musiche "facili" e "difficili", popolari o d'èlite permane...la distinzione piu' evidente, almeno in senso europeo-occidentale, è la prevalenza della "riflessivitÃ*" del linguaggio a scapito dei suoi aspetti comunicativi, in senso sociale: cercherò di spiegarmi meglio con un esempio...
Coltrane, durante il passaggio alla sua "fase modale" prese un vecchio brano che nessuno piu' suonava e che nella sua forma originale era alquanto noioso ("My favorite things") e lo trasfigurò di nuova luce e di nuova forza, offrendo una "lettura" che fu apprezzata, tanto dai musicisti che dal pubblico...lo stesso fece col tema rinascimentale "Greensleeves"...si può dire che ascoltò il "consiglio di Leopold"...
successivamente, portò agli "estremi" la sua "ricerca" (seguì ciò che gli dettava la sua anima, come Mozart) al punto da essere abbandonato tanto dai suoi fidati collaboratori (Tyner, Jones) quanto criticato e incompreso, sia dai musicisti che dal pubblico...
Insomma, secondo voi, esiste la possibilitÃ* di conciliazione fra questi 2 estremi o è un destino ineluttabile che ciò accada...comunque e sempre? QualitÃ* vuol dire "essere incomprensibili" o essere compresi solo dagli "addetti ai lavori"? Come si concilia, oggi, in musica, innovazione e comunicazione?