In programma martedì 27 giugno sullo Stage New Orleans (dalle 22.30), l’omaggio del sassofonista Stefano Di Battista al Maestro Ennio Morricone è uno degli eventi imperdibili della 39esima edizione di JazzAscona. Un’occasione d’oro per riascoltare brani memorabili come ‘C’era una volta in America’, ‘Il buono, il brutto e il cattivo’, ma anche temi meno noti e una nuova composizione inedita, ‘Flora’, che il Maestro ha offerto al sassofonista. Per la serata asconese, Di Battista (sax alto e soprano) sarà affiancato da Daniele Sorrentino al contrabbasso, dal leggendario batterista André Ceccarelli e dal pianista Fred Nardin.
Stefano Di Battista, come è nata l'idea di realizzare l’album ‘Morricone Stories’?
Nel 2007 ebbi la fortuna di incontrare il Maestro a una festa organizzata da un amico comune per festeggiare l’Oscar alla carriera di Morricone. In quell’occasione, parlando e scherzando gli dissi: “Maestro, anche a me piacerebbe fare un disco con le sue musiche”. Lui mi rispose: “Ma no dai, lascia perdere Stefano, ma chi te lo fa fa’?”. Non so se temesse gli esiti di una simile operazione, ma da lì nacque una specie di gioco. Io gli dicevo: “Ma io questa cosa la voglio fare.” E lui: “Lascia perdere”. Fino al giorno in cui mi diede l’ok, facendomi però capire che avrei dovuto seguire una strada molto ligia per quanto riguarda l’approccio alle musiche. E così con Fred (Nardin), André (Ceccarelli) e Daniele (Sorrentino) mi sono messo al lavoro.
Quali sono le sfide nell’adattare le musiche di Morricone per un quartetto jazz?
È una sfida intrigante, perché quelle di Morricone sono partiture scritte per un’orchestra, quindi per un organico di 90-100 elementi. Il timore era di non riuscire a ridare tutta l’emozione di quella musica. Poi però ci siamo messi a studiare l’essenza dei nostri quattro strumenti – pianoforte, contrabbasso, batteria e sassofono – dando molta importanza al suono e cercando di trovare una giusta dinamica. Alla fine, ci siamo convinti che in realtà quella musica funziona ed è in grado di emozionare, anche senza un grande organico. Ciò significa una sola cosa: che è stata scritta in maniera divina.
Insomma, avete tirato fuori l’essenza dai vostri strumenti e da quella musica…
Diciamo che è la musica stessa che ha tirato fuori, se esiste, qualcosa di bello in noi. Brani come ‘Che cosa avete fatto a Solange’ o ‘La cosa buffa’, che io nemmeno conoscevo bene, mi hanno regalato emozioni paragonabili a pezzi leggendari come ‘My Favorite Things’ di Coltrane. Oramai suoniamo questo repertorio da un anno e mezzo e abbiamo l’impressione che questa bellezza ci accompagni ogni giorno e non ci stanchiamo mai. C’è una magia speciale. Ogni volta è come se si risvegliasse una nuova passione.
Alla morte del Maestro il disco era già uscito?
No, era appena finito, ma io avevo il terrore di farglielo ascoltare. Passato un po’ di tempo l’ho fatto sentire ad Andrea, suo figlio, che ci ha infine dato la sua benedizione. Il disco è uscito due anni fa. L’abbiamo presentato con successo un po’ in tutto il mondo, scoprendo che dalla Turchia alla Cina ovunque la gente conosce e ama la musica del Maestro.
Puoi raccontarci un aneddoto o una memoria speciale che hai condiviso con Morricone?
Ce ne sarebbero tantissimi! Intanto, a quella festa del 2007, Morricone era accompagnato da altri amici in comune molto più importanti di me, come Giorgio Rosciglione, che evidentemente dovevano aver parlato di me al Maestro, tessendo le mie lodi, e forse esagerando un tantino, perché quando arrivai alla festa Morricone mi accolse con un: “Ah sei tu Stefano Di Battista” e alzò le mani, come a dire: “Mi hanno fatto una testa così su di te”, un po’ ironico, ma simpatico. Poi abbiamo avuto un momento di intimità e mi ha chiesto di mia madre e mio padre. Saputo che venivo dalla periferia di Roma, San Basilio, ha iniziato ad aprirsi. Quando poi gli ho detto che mia mamma era cuoca, beh lì lui proprio è impazzito e mi ha mitragliato di domande sui bucatini all’amatriciana, e da lì è nato un siparietto simpatico e si sono magicamente aperte delle porte che sennò non si sarebbero aperte, perché poi a un certo punto mi fa: “Ma tu hai portato con te il sax? E allora fai una cosa, se hai il sax prendilo, che ti scrivo un brano”. E lì è successo un casino perché la festa si è bloccata, non aveva mai fatto una cosa del genere; si mise al pianoforte e scrisse quel pezzo che poi io dedicai a mia figlia Flora e che ora sta nel cd. Si è fatto dare un foglio di carta e ha cominciato a scrivere. E da lì anche altri aneddoti perché io avevo una gran fifa di suonare quel pezzo davanti a tutti, tanto più che con la coda dell’occhio io vedevo che scriveva delle note sempre più alte, che andavano su su fino al fa naturale e anche sopra e mi dicevo: “Adesso sbaglierò sicuramente”. Poi a un certo punto lui mi fa: “Bene, adesso lo suoniamo, io al piano e tu al sax”. “Va bene, Maestro,” gli rispondo. Avevo come un infarto in corso, e quando ho cominciato a suonare, da buon romano, mi sono detto: “Adesso lo faccio un’ottava sotto,” ma chiaramente il Maestro se ne accorse immediatamente e mi fermò. Poi lui mi confessò che aveva messo quell’acuto del sax apposta per vedere se riuscivo ad andargli dietro. Da lì nacque un’amicizia che è andata avanti nel tempo.
Come è il tuo rapporto col sassofono?
Un rapporto stretto, ma che vivo con un po’ di distacco a volte, non so perché. Specie negli ultimi anni avevo un po’ tralasciato la parte tecnica, innamorandomi invece di altri aspetti dello strumento, un po’ come se il sax fosse un’altra persona che mi dava una forza in più, che mi dava una mano a esprimermi. Adesso ho ripreso un rapporto un po’ più tecnico, mi sono rimesso a studiare con più continuità.
Passando a Parigi, città dove vivi da tanto tempo…
Per la verità ora sono tornato ad abitare a Roma perché ho avuto Flora, che adesso ha 15 anni, e sono un po’ più in prima linea come padre che come sassofonista…
Ah, perché la domanda era: ma ti senti più parigino o romano?
Diciamo che ho un problema d’identità. Non so più bene. So solo che sono diventato un po’ più grande, ho 54 anni, e vivo a metà il mio essere romano e parigino. Diciamo che mi godo il privilegio di aver assimilato le due culture, anche musicali.