Ho trovato questo articolo oggi su La Stampa, mi pare molto molto interessante.
La scienza dĂ* ragione a chi s'annoia ascoltando i compositori contemporanei. Uno studioso ha scoperto che il cervello umano non è fatto per capirli
MATTIA BERNARDO BAGNOLI
LONDRA
Buone notizie. Se la musica classica contemporanea, nonostante l’impegno, proprio non la capite, potete mettervi il cuore in pace: non è colpa vostra, ma del nostro cervello. Che quando deve analizzare gli input sonori va in cerca di precisi schemi ritmici e così facendo riesce a distinguere la melodia dal rumore. Il problema è che, a partire da autori come Arnold Schönberg, i compositori di sinfonie moderne hanno completamente stravolto l’andamento delle note, infarcendole per giunta di confusi suoni di sottofondo. Così il cervello non sa più cosa sta ascoltando, e fa fatica a classificare quel trambusto come musica. O almeno, questa è la teoria di Philip Ball, autore del volume «The Music Intinct – l’Istinto della Musica».
Ball, consultando le ultime ricerche svolte nel campo delle neuroscienze, si è infatti accorto che il rispetto di certe formule è essenziale per colpire nel segno e provocare un effetto di «piacere» nell’ascoltatore. Che in caso contrario rimane spiazzato. «Molte persone – ha spiegato al “Daily Telegraph” – trovano tutt’oggi la musica classica contemporanea molto difficile da ascoltare. Bene: possono iniziare a rilassarsi. Questo accade non perchĂ© sono troppo ignoranti per apprezzarla. Il cervello è un organo che cerca schemi ricorrenti. Quindi, anche quando si tratta di musica, applica lo stesso metodo in modo da dare un senso a ciò che “sente”. La musica di Bach, ad esempio, adotta configurazioni di questo tipo». I grandi maestri della classica tradizionale, stando alle teorie di Ball, componevano dunque, istintivamente, melodie «gradevoli» per il cervello, pur senza ridurre la qualitĂ* tecnica della composizione: le pensavano così.
Senza toni centrali
Il Novecento, però, nella sua costante ricerca di uno strappo alla convenzione, ha introdotto il concetto di musica atonale. Priva, cioè, di toni centrali. «Alcune delle innovazioni sperimentate per la prima volta da Schönberg – dice ancora Ball – hanno destrutturato il modello tradizionale tipo di architettura sonora». «La musica di questi compositori è diventata quindi piĂą frammentata, e il cervello fatica a trovare una configurazione ritmica». Da qui l’avversione «naturale» dei non intenditori. «Ciò non significa, ovviamente, che sia impossibile ascoltare opere sinfoniche contemporanee: liquidarle come spazzatura sarebbe un errore. Ma sono piĂą difficili da interpretare». Ora, critica e pubblico – ricorda il Telegraph – non hanno mai ricevuto con troppo ardore tali creazioni. Ma si sa, l’arte è arte proprio per la sua capacitĂ* di creare dibattito, per il suo intrinseco valore soggettivo. La scienza però corre dietro ai fatti, e che la musica atonale valga per la materia grigia comeuna maratona in alta montagna – si può fare, ma anche no – sembra ormai una certezza. Il cervello, infatti, è un organo molto preciso, che deve sbrigare mille commissioni contemporaneamente, e ha nel tempo sviluppato un suo metodo per fare le cose a modino. E questo vale per tutto, non solo per la musica. Ecco allora che, stando a quanto scoperto da Aniruddh Patel, ricercatore presso il Neurosciences Institute di San Diego, il sistema per esempio usato per decodificare note e parole è molto simile, condivide certi meccanismi.
Le note e la mente
«Questo – dice Patel – è uno dei motivi per cui la musica è congeniale alla mente umana. E può spiegare anche perchĂ© una composizione atonale risulta tanto ostica quando ascoltata per la prima volta ». Timothy Jones, vicedirettore della Royal Academy of Music, pare però piĂą indulgente nei confronti della «dura» sinfonia contemporanea. «Mozart e Bach – sostiene – mostrano livelli di complessitĂ* simili a Schönberg, pur restando in domini musicali differenti. Mi domando quanto la familiaritĂ* con Mozart e Bach non dipenda da ragioni culturali piĂą che dall’innata incapacitĂ* di comprendere Schönberg: certe persone possono imparare ad apprezzarlo». Siamo dunque ignoranti per natura o per pigrizia? David Huron, esperto in cognizione musicale alla Ohio State University, si è preso la briga d’indagare le ragioni che stanno dietro alle – cattive – reazioni di alcuni soggetti alle composizioni classiche atonali. E si è accorto che «il cervello, per la maggior parte del tempo, cerca di prevedere il futuro ». «Prevedere cosa potrĂ* accadere di qui a un attimo – prosegue – ha un’ovvia importanza per la sopravvivenza e il cervello ha una straordinaria capacitĂ* nell’anticipare gli eventi». Huron ha quindi «misurato» la prevedibilitĂ* di sequenze sonore tratte da opere di Arnold Schönberg e Anton Webern. «Gli ascoltatori ogni volta che cercavano di prevedere la nota successiva sbagliavano. Il risultato è una preponderante sensazione di smarrimento: da qui la mancanza di piacere nell’ascolto».